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Novena di Natale – Per conoscere e apprezzare meglio… il Presepe!

La novena viene recitata tra il 16 e 24 dicembre

Non si può parlare del Presepe che ogni anno le parrocchie e le famiglie allestiscono, senza che spunti l’affascinante ricordo del poverello di Assisi. Ottenuta da Papa Onorio III nel 1223 l’approvazione pontificia per l’ordine francescano, San Francesco si avviò verso l’eremo di Greccio al fine di celebrarvi il Natale. Essendo molto sensibile ai simboli e ai gesti – da buon cattolico medievale – volle riprodurre per quanto possibile la scena della grotta di Betlemme, per cui determinò che in un luogo stabilito fossero portati un asino e un bue e che, sopra un altare mobile collocato su una mangiatoia, fosse celebrata la Santa Messa. In questo modo, Gesù Eucaristico si sarebbe fatto realmente presente nel buio, al freddo, in mezzo agli animali, su quella che sarebbe stata la sua prima e improvvisata culla… In quella notte non c’erano né statue né altre raffigurazioni. Tuttavia, la geniale e pia intuizione del santo fece sì che la devozione popolare, condividendo il suo stesso desiderio, inventasse il Presepe, tradizione benemerita che consente a tutti i cristiani di avere davanti agli occhi quell’evento di grandezza insuperabile accaduto duemila anni fa alla presenza della Santissima Vergine e del suo Sposo verginale, San Giuseppe.

Attualmente, il laicismo culturale nella sua aggressività anti-cristiana cerca di cancellare o di deturpare l’abitudine di allestire il Presepe nei luoghi pubblici o in quelli privati, per cui risulta più importante che mai riscoprire il suo valore a livello di fede e di storia. Tante considerazioni potrebbero farsi a riguardo. Nell’imbarazzo della scelta, sembra che un piccolo commento sugli elementi che compongono le nostre solite rappresentazioni della nascita di Gesù possa stimolare l’interesse e la devozione dei cattolici perché non solo tramandino alle nuove generazioni una vecchia e venerabile tradizione, ma la vivano ogni anno con rinnovato apprezzamento e con tenera pietà.

Il bue e l’asino – Primo giorno

Le narrazioni dei Vangeli non fanno riferimento esplicito alla presenza di un bue e di un asino accanto a Gesù neonato. La tradizione di presentarli nella grotta di Betlemme nasce piuttosto dalla considerazione dell’Oracolo del profeta Isaia: “Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende” (Is 1, 3). Il fatto che Gesù sia nato in una grotta e sia stato deposto in una mangiatoia stabilisce punti di contatto con questo riferimento profetico. Ma non solo. Il vero collegamento va ricercato nel messaggio che il profeta espone nel versetto successivo in cui leggiamo duri rimproveri al popolo d’Israele: “Guai, gente peccatrice, popolo carico d’iniquità! Razza di scellerati, figli corrotti!

Hanno abbandonato il Signore, hanno disprezzato il Santo d’Israele, si sono voltati indietro” (Is 1, 4).

Il linguaggio profetico è fatto talvolta di drammatici paragoni. In questo caso Isaia mostra il contrasto tra la considerazione che gli animali domestici, mossi da istinto, hanno per i loro padroni e la crudele freddezza del popolo eletto verso il Signore. Il Vangelo di San Giovanni, nel suo prologo, afferma: “[Il Verbo] venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1, 11). Ecco perché la pietà popolare ha voluto l’asino e il bue sdraiati dietro la mangiatoia di Gesù: per segnalare il rifiuto da parte di tanti israeliti verso il Messia appena nato.

Sulla storicità della presenza del bue e dell’asino nella grotta di Betlemme, si deve dire, però, che il mancato riferimento esplicito da parte degli Evangelisti non è sufficiente per negare che là ci fossero entrambi gli animali. L’asino sicuramente era presente perché fu adoperato da San Giuseppe durante il viaggio intrapreso per il censimento. Anche il bue con molta probabilità poteva trovarsi sul posto, essendoci una mangiatoia che, a quel che sembra, aveva della paglia per nutrire il bestiame, sulla quale fu deposto con premura materna il Divin Neonato. D’altra parte, gli animali erano usati in inverno come una sorta di riscaldamento naturale.

È poi da notare che l’asino e il bue avevano un ruolo rilevante nella vita domestica degli israeliti. Nel Pentateuco e nei Vangeli troviamo diversi riferimenti espliciti a questi due animali che erano di aiuto per le vicende familiari. L’asino serviva come animale da soma e il bue serviva in campagna per arare la terra. Entrambi erano pressoché indispensabili, per cui Mosè comanda: “Se vedi l’asino di tuo fratello o il suo bue caduto lungo la strada, non fingerai di non averli scorti, ma insieme con lui li farai rialzare” (Dt 22, 4). Tale ruolo domestico veniva ricoperto da questi animali anche al tempo di Gesù, tanto che entrambi compaiono nei rimproveri del Divin Maestro contro il formalismo vuoto e legalista dei farisei a proposito del riposo sabatico: “Il Signore gli replicò: Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi?” (Lc 13, 15).

Anche sul profilo mistico i due animali hanno un simbolismo notevole per chi vuol volare con le ali della mente aldilà della letteralità dei testi senza, però, tradirla. Troviamo, infatti, un asino con un ruolo considerevole in quella profezia di Zaccaria che si avverò nella domenica delle Palme: “Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina” (Zacc 9, 9). Gesù Bambino sdraiato sulla modesta mangiatoia era quel Re magnifico che avrebbe dovuto conquistare con il sangue del suo sacrificio tanti cuori destinati alla salvezza! Ecco il ruolo nel Presepe dell’asino rispettoso e gentile che scalda il Bambino e lo guarda con tenerezza: ricordarci la sua regalità che è tutta mansuetudine, santità e trionfo sul male.

Dal canto suo, il bue è citato da San Paolo per far riferimento, in linguaggio metaforico, al lavoro apostolico, soprattutto a quello della predicazione e dell’insegnamento, che dev’essere considerato e sovvenzionato dai fedeli: “Dice infatti la Scrittura: «Non metterai la museruola al bue che trebbia» e: «Il lavoratore ha diritto al suo salario»” (1 Tim 5,18; vedi anche 1Cor 9, 9 e Dt 22, 10). In effetti, Gesù sarebbe stato un predicatore itinerante instancabile ma dovette vivere della carità altrui, sostentato come fu da pie donne ricche (Lc 8, 1-3). Il bue, dunque, ci ricorda Gesù Maestro, sole di sapienza e fonte di salvezza, che visse, però, in povertà durante il suo arduo lavoro apostolico.

Tuttavia, il senso più bello dell’asino e del bue accanto a Gesù Bambino è quello della speranza. Il brano di Isaia indicato precedentemente, accenna in primo luogo all’infedeltà del popolo, ma in seguito fa commoventi inviti alla conversione accompagnati da straordinarie promesse di salvezza: “Lavatevi, purificatevi, allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene” (Is 1, 16-17). E ancora “Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana. Se sarete docili e ascolterete, mangerete i frutti della terra. Ma se vi ostinate e vi ribellate, sarete divorati dalla spada, perché la bocca del Signore ha parlato”. (Is 1, 18-20)

Il santo Presepe, che fin dall’inizio include la presenza dell’asino e del bue, è un richiamo alla conversione fatto con tenerezza, candore e fermezza. Gli animali che guardano Gesù ci ricordano che essi hanno riconosciuto il loro padrone, al contrario di tanti cattolici, dotati di ragione e ornati della fede battesimale, che dimenticano Chi dovrebbe essere il centro delle loro vite. La presenza innocente, regale e abbagliante di Gesù nella mangiatoia è un invito forte a una conversione sincera che ci aprirà le porte di tutte le misericordie. Altrimenti, la spada della giustizia sarà pronta a divorare i ribelli.

Per intercessione della Vergine Santissima e di San Giuseppe, suo sposo verginale, supplichiamo il Padre Celeste perché tocchi i nostri cuori in maniera irresistibile e li guidi per le vie della santità, del sacrificio e della pace fino al raggiungimento della felicità eterna.

La Grotta – Secondo giorno

I Vangeli non descrivono con precisione il luogo della nascita di Gesù. Sappiamo solo che il grande evento ebbe luogo a Betlemme, la “casa del pane”, bella profezia della futura istituzione della Sacra Eucarestia. Ci sono pochi altri particolari. Luca fa appena un riferimento alla mangiatoia dove fu deposto il Bambino, “perché non c’era posto per loro nell’albergo” (Lc 2, 7). Si trattava dunque di un posto più riservato e discreto, adatto ad accogliere nel silenzio e nella riservatezza l’avvenimento centrale della Storia: il Figlio di Dio che, uscendo in forma miracolosa dal seno verginale di Maria, compare sul palcoscenico del mondo, rallegrando gli occhi dei giusti e irritando quelli degli empi.

San Matteo ubica la scena dell’adorazione dei Magi in una casa nella quale quei re trovano il Bambino e la Madre. È molto probabile, comunque, che la nascita di Gesù e l’adorazione dei Magi si siano svolte in degli scenari differenti, poiché dopo la venuta alla luce del Bambino in un luogo pressoché precario, San Giuseppe con ogni probabilità riuscì a trovare una sistemazione più sicura e degna per la Madre e il Figlio.

Invece, la mangiatoia, citata da San Luca per due volte come testimone della nascita del Primogenito di ogni creatura, richiama l’idea della stalla, posto adibito per disporvi il bestiame. Ora, in quei tempi solitamente le grotte erano usate proprio per questa finalità. Molte, infatti, erano in connessione con le case costruite a ridosso delle pareti rocciose delle montagne. Mons. João Scognamiglio, nel suo libro su San Giuseppe, descrive il luogo della nascita del Messia come una grotta abbandonata su un colle, usata sporadicamente da rifugio per le greggi. Tale grotta fu frequentata da San Giuseppe durante la sua fanciullezza per saziare la sua sete di solitudine e di contemplazione.

La grotta, in ogni modo, è immancabile nei nostri Presepi. Rimanda all’idea del nascondimento del Figlio di Dio appena nato, lo protegge evitando ai potenti del mondo di accorgersi della sua nascita perché di Lui non erano degni. Così il Padre Eterno dispose che il Verbo incarnato comparisse nel mondo in una spelonca ignorata dalla maggior parte della gente, per essere visto soltanto da coloro che per l’umiltà dei cuori avrebbero guardato il Bambino con occhi di fede.

In senso mistico, tale scenario richiama un passo dell’Antico Testamento che ha come protagonista l’igneo profeta Elia: per mezzo di un sacrificio consumato miracolosamente dal fuoco disceso dal Cielo, Elia manifestò a Israele che l’unico suo Dio era il Signore. Dopodiché, lui stesso giustiziò i numerosi sacerdoti di Baal. In seguito, la pessima Regina Gezabele, promotrice dell’idolatria in Israele, giurò per se stessa che avrebbe ucciso l’unico profeta fedele. Questi fuggì verso l’Oreb dove arrivò dopo quaranta giorni e quaranta notti di cammino grazie all’ausilio di un angelo che gli fornì per due volte una focaccia di pane e acqua.

Arrivato al monte di Dio, Elia entrò in un grotta, per passarvi la notte, quando gli fu rivolta la parola del Signore che gli ordinò: “Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore” (1Re 19, 11). Allora “ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna. Ed ecco che il Signore passò. Ed ecco, venne a lui una voce che gli diceva: «Che cosa fai qui, Elia?». Egli rispose: «Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi cercano di togliermi la vita»” (1Re 19, 12-14).

Questo passo mostra in modo folgorante un profeta integro, tutto d’un pezzo, dedito esclusivamente alla gloria del Signore, ma, al contempo, perseguitato dagli iniqui che vogliono eliminarlo perché scomodo, anzi, perché per loro è insopportabile. I figli delle tenebre, infatti, non tollerano un uomo che è in qualche modo parola vivente di Dio, perché rappresenta un rimprovero costante alle cattive azioni da loro messe in pratica. In conseguenza, l’odio cresce come un’onda minacciosa, e in quei momenti il profeta sembra abbandonato davanti al pericolo, ma solo in maniera apparente. Il Signore lo mette alla prova ma rimane sempre con lui. Così a Elia fu comandato di scendere dal monte Oreb per ungere nuovi re in Giudea e in Israele, e un profeta, suo successore. È l’opera divina che non sarà mai arrestata dal male, poiché come annunciò allora il Signore: “Io, poi, mi sono risparmiato in Israele settemila persone, quanti non hanno piegato le ginocchia a Baal e quanti non l’hanno baciato con la bocca” (1Re 19, 18).

Anche Gesù Bambino, nel suo divino candore, fu bersaglio dell’odio più violento sin dai primi momenti della sua vita sulla terra. Anzitutto Erode, il crudele tiranno, voleva assassinarlo. Ma non solo. Alle sue spalle i farisei e il Sinedrio tramavano scontenti… Poche erano le anime dei giudei che non avevano piegato le ginocchia davanti alle nuove versioni di Baal. Da quei pochi giusti, e solo da loro, il Bambino volle farsi vedere nello splendore maestoso della sua tenera innocenza.

E Gesù, come Elia, sarà di scandalo agli anziani del Tempio a causa del suo zelo per la Casa del Padre. E anche Lui vorranno eliminare proprio perché metteva Dio sopra gli altri “dei” adorati dai potenti di Israele: i soldi e la gloria umana.

Possa servire la grotta del nostro Presepe ad elevare la nostra mente a pie considerazioni. Ci ricordi che essa è un luogo privilegiato per trovare Dio, e, nel nostro caso, per scoprirlo proprio nel Figlio incarnato, appena nato tra le braccia di Maria. Ci ricordi inoltre, che il bene è perseguitato a morte ma vince sempre, purché sia pieno di zelo per il Signore, Dio degli Eserciti.

La Stella – Terzo giorno


Nell’Antico Testamento troviamo la celebre profezia messianica di Balaam: “Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele, spezza le tempie di Moab e il cranio dei figli di Set[…].Uno di Giacobbe dominerà i suoi nemici e farà perire gli scampati da Ar” (Num 24, 17-19). Come riferimento chiaro al futuro Unto del Signore atteso da Israele, questa è l’unica volta che la “stella” simbolizza in linguaggio metaforico la venuta di Gesù Cristo in qualità di Re potente e di guerriero invincibile.

Nel Nuovo Testamento, però, dei personaggi misteriosi, avvolti nella polvere dorata di un deserto mitico, compaiono a Gerusalemme in cerca del Re dei Giudei, poiché, secondo le loro parole: “Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo” (Mt 2, 2). Si tratta dei Magi d’Oriente mossi dall’ispirazione dello Spirito Santo che li aveva guidati usando il firmamento come immensa e spettacolare lavagna.

La Stella dei Magi può essere ritenuta anche come lo splendore di un angelo che guida quegli spiriti assetati di assoluto verso la Sacra Famiglia. Infatti, appena usciti da Gerusalemme, nell’avviarsi verso Betlemme: “Ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino” (Mt 2, 9).

La Stella del nostro Presepe è profezia della Regalità di Gesù in quanto è di origine soprannaturale: Lui è Dio. La purezza della luce stellare e la sua incidenza sulla terra pur conservando, rispetto ad essa, una distanza invalicabile per l’uomo, la fanno simbolo della divinità che è nella sua essenza, infinita purezza, luminosità e nobiltà. La stella muove i nostri cuori al fascino per la maestà di Gesù, che pur essendo insuperabile si fa vicino ai cuori innocenti, umili e distaccati dalle preoccupazioni banali o venali della vita.

Gesù nell’Apocalisse rivela Se stesso affermando: “Io sono la radice della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino” (Ap 22, 16). E San Pietro nella sua seconda epistola manifesta ai cristiani il desiderio che “spunti il giorno” e “sorga” nei loro cuori “la stella del mattino” (2 Pietro 1, 19). Apriamo le ali del nostro spirito e voliamo verso la Stella meravigliosa, abbagliante e amica: Lei sarà la nostra ricompensa infinitamente grande!

I pastori – Quarto giorno

La figura del pastore nell’Antico Testamento è piena di poesia e di forza. Nel Nuovo tuttavia sembra addolcirsi, come riportato da San Luca a propositodell’apparizione dell’Angelo ai pastori che vegliavano durante la notte il loro gregge. Tutto sommato possiamo formare il volto morale del Vero ed Unico Pastore usando la forza di tutte e due le interpretazioni.

Cominciamo dall’Antico Testamento. Tra le prefigure di Cristo spicca il Re Davide. Proprio lui, che era un pastore, fu scelto da Dio quale sovrano d’Israele mentre sorvegliava il gregge di suo padre. Ecco il racconto delle Scritture: “Samuele chiese a Iesse:‘Sono qui tutti i giovani?’ Rispose Iesse: ‘Rimane ancora il più piccolo che ora sta a pascolare il gregge’. Samuele ordinò a Iesse: ‘Manda a prenderlo, perché non ci metteremo a tavola prima che egli sia venuto qui’. Quegli mandò a chiamarlo e lo fece venire. Era fulvo, con begli occhi e gentile di aspetto. Disse il Signore: ‘Alzati e ungilo: è lui!’” (1Sam 16, 11-12).

A partire da Davide si stabilisce un legame metaforico tra la figura del Re e quella del Pastore. Sovente, il Signore, parlando ai suoi profeti fa riferimento ai governanti chiamandoli proprio “pastori”. Infatti, la missione del re non deve far prevalere una dominazione tirannica ma deve manifestare davanti agli occhi di Dio un’azione addolcita da tenerezza e benevolenza verso le “pecore”, cioè, verso il popolo. Ecco perché con divina didattica Dio volle paragonare il governo umano alla conduzione di un gregge. Il pastore nutre per le pecorelle affezione autentica. Sa, d’altra parte, della loro debolezza e dei nemici che possono recare danni o addirittura la morte ed è pronto a proteggerle. Le pecore, a loro volta, sembrano capire questi sentimenti e corrispondono con docilità alla voce del loro pastore. Si stabilisce in qualche modo un rapporto quasi filiale senza abolire minimamente la differenza gerarchica esistente tra chi comanda e chi è comandato. Allo stesso modo avrebbero dovuto agire i Re di Israele, la cui missione era di somigliare al futuro Messia, che sarebbe stato Re dei Re, ma in spirito di servizio.

Esempio chiaro di quanto appena riportato sono le profezie di Ezechiele, profeta lungimirante che annunciò la venuta del Messia molto tempo prima dell’Incarnazione del Verbo. Nel suo libro, Ezechiele ammonisce i capi d’Israele per essere stati dei malvagi pastori per il gregge del Signore. Su questo sfondo, il profeta prevede un futuro pastore, il Cristo, unto dal Signore, il quale saprà prendersi cura del popolo con autorità e dolcezza, in modo insuperabile.

“Perché così dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna. Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine. Le farò uscire dai popoli e le radunerò da tutte le regioni. Le ricondurrò nella loro terra e le farò pascolare sui monti d’Israele, nelle valli e in tutti i luoghi abitati della regione. Le condurrò in ottime pasture e il loro pascolo sarà sui monti alti d’Israele; là si adageranno su fertili pascoli e pasceranno in abbondanza sui monti d’Israele. Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia.” (Ez 34, 11-16)

Nel Nuovo Testamento, nel Vangelo di San Giovanni, Gesù si identifica con il pastore annunciato dal profeta, e in conseguenza, con Dio stesso, affermando chiaro e tondo la sua divinità: “Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore” (Gv 10, 11-16).

Ecco il perché della presenza dei pastori in quella luminosa notte, nella quale spuntò nel mondo il sole di Giustizia. I pastori erano anime pure, interessate al bene del loro gregge, lontane dalle ambizioni del mondo e dedite ad adempiere con perfezione il loro servizio. Furono scelti da Dio Padre nella notte di Natale per essere testimoni privilegiati della nascita di Gesù proprio per significare che Lui sarebbe stato il Pastore per eccellenza. Per tale motivo furono trattati con dignità regia poiché non solo ricevettero l’annuncio dell’Angelo ma ascoltarono il primo concerto di Natale, tenuto, però, dagli Spiriti Celesti! E in seguito furono introdotti nella grotta di Betlemme e furono accolti con rispetto e simpatia dalla Regina dell’Universo e dal Signore dei Signori.

“C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva. «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama». Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro”. (Lc 2, 8-20).

Che i pastori che ammiriamo nel nostro presepe ravvivino in noi il desiderio di purezza nello sguardo, nelle parole e nelle azioni e ci ricordino di cercare la perfezione nell’adempimento delle nostre occupazioni quotidiane.

I Magi – Quinto giorno

Le più antiche profezie annunciavano che la Legge del Signore sarebbe stata Maestra di tutte le genti: “Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti e s’innalzerà sopra i colli, e ad esso affluiranno tutte le genti. Verranno molti popoli e diranno: «Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri». Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore” (Is 2, 2-4).

Nei Salmi di Davide la profezia si profila ancora più chiara e concreta in riferimento alla gloria che il futuro Unto del Signore avrebbe ricevuto dai gentili: “I re di Tarsis e delle isole portino tributi, i re di Saba e di Seba offrano doni. Tutti i re si prostrino a lui, lo servano tutte le genti. Viva e gli sia dato oro di Arabia, si preghi sempre per lui, sia benedetto ogni giorno. In lui siano benedette tutte le stirpi della terra e tutte le genti lo dicano beato”. (Sal 72, 10-11;15;17)

Tali profezie erano di sicuro ben conosciute dalla Vergine Santissima e dal suo sposo verginale San Giuseppe. Entrambi intuivano che il Figlio di Dio incarnatosi nel seno di Maria sarebbe stato la benedizione di tutti i popoli del mondo, il governante che in nome di Dio avrebbe guidato le moltitudini alla salvezza.

C’erano altresì personaggi del lontano oriente, che vivevano immersi nel paganesimo ma non erano affatto pagani, anzi! Si tratta di misteriosi Magi che, guidati da una brillante stella, spuntano a sorpresa a Gerusalemme e mettono in subbuglio la città, il Sinedrio ed Erode per l’imponenza delle loro magnifiche carovane e per il sorprendente interesse sul Re dei Giudei che era appena nato.

È bello osservare la mano della Provvidenza che nel guidare le vie dei generosi Magi determina come prima cosa il loro incontro con l’antitesi del Messia, con quello che sotto certi aspetti potrebbe essere considerato un anticristo. In effetti, Gesù disse di Sé di essere la Verità, ed Erode era mendace; Gesù era il Principe della Pace, Erode un tiranno assassino; Gesù venne per portare gli eletti alla vita eterna, Erode pensava solo alla gloria e al potere di questo mondo; Gesù era santo e immacolato, Erode aveva le mani bagnate di sangue e di ogni sorta di crimini e di impurità; Gesù era il vero discendente di Davide, Erode un impostore; Gesù venne per dare le vita per le sue pecore, Erode invece era un lupo travestito da pastore che sfruttava il gregge per i suoi personali interessi.

Allora, occorre porsi la domanda: qual è il senso di tale disegno divino che antepone la conoscenza del male a quella del bene? La spiegazione più profonda si trova nel prologo del Vangelo di San Giovanni: “La Luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta” (Gv 1, 5). Solo sul telaio scuro del mistero del male si riesce a capire il senso più sublime della luce. Ecco perché ai Magi venuti dall’Oriente fu dato per prima cosa di conoscere l’anticristo, e solo dopo fu permesso loro di avvicinarsi a Gesù con trasporti di entusiasmo e di adorazione. Così succede anche ai nostri giorni. Le tenebre che avvolgono il mondo e il misterioso fumo che, penetrato da qualche fenditura, sembra appannare gli occhi della Chiesa militante non devono scoraggiarci. Sono lo scenario ideale per assistere allo spuntare della luce!

Perciò, superato l’incontro con Erode e con la città di Gerusalemme turbata dalla notizia della nascita del Messia – quando avrebbe dovuto essere l’esatto contrario! – i Magi ritrovarono la stella e giunsero ai piedi del vero Re. Allora, “entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra” (Mt 2, 11). Ecco i primi gentili ad adorare il vero Dio fatto Uomo! Tale evento non sarebbe stato possibile se i loro cuori non fossero stati preparati da un’attesa contemplativa e vigilante, da un lungo cammino sotto la luce delle stelle e dall’incontro con il mistero del male, che alla fine sarebbe stato vinto grazie all’intervento dell’Angelo, giacché nell’avviarsi verso la loro patria, “avvertiti in sogno di non tornare da Erode” (Mt 2, 12), fecero ritorno per un’altra strada.

L’avventura dei Re Magi e il fascino del mistero che li circonda è al contempo profezia della salvezza universale portata al mondo da Cristo, annuncio della regalità universale di Gesù e prototipo della vita degli eletti, chiamati a scoprire la luce in mezzo alla lotta contro le tenebre, pur consapevoli che le tenebre non prevarranno!

Guardando avanzare i Re Magi nel presepe alla volta della grotta che anche noi possiamo imitarli nel cercare ogni giorno Cristo.

Gli Angeli – Sesto giorno

Il ruolo degli Angeli nel Natale del Signore è proficuo. Li troviamo prima della Sua nascita intenti a spianare le vie del Signore. La notte della nascita compaiono davanti ai pastori per eseguire la prima melodia natalizia. E successivamente continuano ad operare al servizio della Sacra Famiglia per custodire la vita del Bambino sottraendolo alle grinfie assassine di Erode.

Nel Vangelo di San Luca, l’Arcangelo Gabriele compare davanti a Zaccaria per annunciargli che sarebbe stato scelto come padre del Precursore. L’Anziano Sacerdote, alquanto incredulo, mette in dubbio le parole dello spirito celeste, e questi lo punisce rendendolo muto, perché “non hai creduto alle mie parole, che si compiranno a loro tempo” (Lc 1, 20). Di nuovo in San Luca, troviamo il magnifico arcangelo Gabriele che si presenta davanti a Maria e la saluta con giubilo e riverenza: “Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te” (Lc 1, 28). Da quel dialogo sublime uscirà la più bella soluzione al più terribile problema: il Verbo si farà carne ed abiterà fra noi per salvarci dai nostri peccati.

Anche San Giuseppe fu oggetto della visita di un Angelo al fine di risolvere il suo dramma interiore davanti alla gravidanza della sua Sposa. Infatti, pur non dubitando mai dell’integrità di Lei, e, portato dall’umiltà più profonda, si sentiva indegno di essere vicino come marito alla Vergine di Isaia, scelta per concepire senza concorso d’uomo. Ed ecco che in sogno, un Angelo lo rassicurò: “Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: ‘Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati’” (Mt 1, 20-21).

È utile poi ricordare che gli Angeli si sono prodigati con cura per servire la Sacra Famiglia finanche immediatamente dopo la nascita di Gesù. San Giuseppe ebbe in sogno l’avviso sulle pessime intenzioni di Erode e sull’urgenza di fuggire in Egitto, restando là finché non fosse stato avvertito (Mt 2, 13). In modo simile, i Re Magi furono messi in guardia in sogno per tornare senza passare da Erode. Alla fine, morto Erode, lo stesso San Giuseppe ricevette in sogno l’ordine di tornare nella terra d’Israele (Mt 2, 20).

Tuttavia, gli Angeli che solitamente si mettono nei nostri Presepi non sono quelli sopracitati. Generalmente vediamo l’Angelo che apparve ai pastori nella notte stessa di Natale, accompagnato magari da altri spiriti celesti che reggono tra le mani un’insegna con le parole: “Gloria a Dio nell’alto dei Cieli e pace in Terra agli uomini che Egli ama”.

La presenza degli Angeli, esseri di puro spirito, naturalmente molto superiori agli uomini, fa dei nostri Presepi i testimoni della superiorità di Cristo sugli Spiriti Celestiali. In effetti, stanno al suo servizio e gli prestano omaggi per la sua divinità e per la sua grazia. Così ci spiega l’epistola agli Ebrei: “Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato? E ancora: Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio? Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: Lo adorino tutti gli angeli di Dio” (1, 5-6).

Tale superiorità riempia i nostri cuori di fiducia nell’ausilio potente e fraterno degli Angeli che il Signore ha disposto per accompagnare e seguire i fratelli del suo Divin Figlio. Ricorriamo a loro spesso e con fiducia, così saremo difesi dalle insidie del male e rallegrati dalla loro amabile e luminosa compagnia.

San Giuseppe – Settimo giorno

Su un santo di così alto calibro ci sarebbe da scrivere un’enciclopedia! San Giuseppe è stato scoperto dalla Chiesa lentamente lungo i secoli uscendo a poco a poco dall’ombra fino ad arrivare a un certo riconoscimento sotto il pontificato del Beato Pio IX che lo proclamò Patrono della Santa Chiesa. Tuttavia, ancora è non stato apprezzato tanto quanto merita.

Al giorno d’oggi, abbiamo a disposizione un approfondimento dottrinale importante sulla sua figura discreta e affascinante. Il recente libro di Mons. João Scognamiglio sul glorioso Patriarca contribuisce di molto a proiettare in piena luce lo straordinario volto spirituale di San Giuseppe e offre indicazioni su come la Chiesa, guidata dallo Spirito Santo, deve amarlo. Scritto con chiarezza e pietà, il volume diviene al contempo molto leggibile e di pregiata ricchezza teologica.

Nei nostri presepi, tuttavia, San Giuseppe si presenta riservato, pienamente assorto sul Bambino, da lui contemplato con trasporti di affetto e adorazione, e sentitamente raccolto. Il suo ruolo nei pressi di Gesù è d’inestimabile importanza. Il fatto che Iddio abbia voluto affidare a un uomo i suoi più cari tesori, Gesù e Maria, ci dice tutto sul nostro amato Patriarca, che può essere considerato senza indugio l’uomo di fiducia della Santissima Trinità. Una parola, però, tratta dal Vangelo di San Matteo sintetizza la personalità di San Giuseppe. Infatti, di lui è detto che era un “uomo giusto” (Mt 1, 19).

La parola “giustizia” nel linguaggio biblico ha un senso più largo che ai nostri giorni. Essere “giusti” nelle Scritture significa essere proprio buoni, ossia, santi. In questo stesso senso si deve intendere anche una delle più belle beatitudini proclamate dal Signore: “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati” (Mt 5, 9). Ed è proprio questa promessa di Gesù che desta luce su un aspetto poco messo in rilievo della santità dello Sposo verginale di Maria. Sì, San Giuseppe, oltre ad essere un uomo dalle grandi aspirazioni, fu proprio affamato e assetato di santità. Ecco il motivo per cui ha potuto raggiungere la vetta della più alta montagna sulla quale poté convivere in purezza perfetta e in fervore di carità con il Figlio di Dio e con la sua Santissima Madre.

San Giuseppe, al di sopra di ogni velleità umana sia genealogica, per il fatto di essere lui il primogenito della stirpe di Davide, sia mondana, per i doni spirituali e umani di cui era dotato, fece la sua scelta preferenziale per la santità. Il premio se lo guadagnò già su questa terra, e ancor di più nell’eternità.

La figura gentile, attraente e virile di San Giuseppe, situata nel presepe sempre accanto a Maria nell’atto di adorare insieme a Lei il Figlio di Dio appena nato, ci ricorda che la strada della felicità, della vita e della realizzazione personale non è che quella della santità, consistente nella fiducia più completa in Dio e nel santo abbandono tra le sue mani. Così fu San Giuseppe, docilissimo alle indicazioni degli Angeli, a cui obbediva al minimo cenno come un bambino innocente ai suoi cari genitori. Siamo pure noi anime affamate e assetate di santità, cerchiamo la mèta più bella, più alta, e ne saremo saziati! Questo è l’invito che San Giuseppe ci rivolge in questo periodo natalizio.

La Vergine Maria – Ottavo giorno

Il Signore nel Vangelo ci insegna che a chi ama molto è perdonato molto (Lc 7, 40-43). La Santissima Madre del Redentore fu concepita senza nessuna traccia di peccato originale, anzi, fu colmata di grazia fin dal primo istante della sua esistenza. Tuttavia, nella sua umiltà, sapeva di essere stata redenta nel miglior modo, cioè, di essere stata non solo guarita dal contagio della colpa di Adamo ma proprio risparmiata. Il suo debito in rapporto a Dio, dunque, era immenso. E benché Lei non potesse pentirsi della più leggera mancanza, si considerava povera davanti a Dio. In questo senso, con Lei la Trinità fece uso della più abbondante misericordia a cui Maria seppe corrispondere con una carità intensissima verso l’Altissimo, al punto di essere invocata dai fedeli quale divino incendio d’amore. La Madonna è pertanto la più grande debitrice di Dio e, proprio per questo motivo, ha un Cuore pieno di misericordia verso tutti coloro che a Lei si rivolgono con umiltà e fiducia.

“Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia” (Mt 5, 7), ci insegna Gesù nel sermone della montagna. Applicando a Maria questa beatitudine capiamo il perché della sua insondabile bontà verso i peccatori. La Vergine Maria è considerata Madre di Misericordia perché Lei si riteneva ad ogni istante bisognosa della misericordia di Dio. Così, la Vergine, durante i giorni della sua vita terrena si è prodigata nell’aiutare e proteggere i deboli, i miserabili pentiti e i peccatori che a Lei ricorrevano. Era per Lei il modo di ottenere per Sé la benevolenza divina di cui aveva necessità per conservare ed accrescere la sua incomparabile innocenza.

Nei nostri Presepi vediamo la Vergine in adorazione e profondamente raccolta. Ma non possiamo dimenticare che la sua cura materna, la più squisita e sublime di tutta la Storia, non si applicava soltanto a Gesù, anche se a Lui giustamente dava il meglio di Sé. La misericordia di Maria trasborda su tutti coloro che a Lui si avvicinano con la speranza di essere consolati, guariti e illuminati. Così Ella seppe accogliere con un oceano di bontà i candidi pastori, i parenti e gli amici che si presentarono nella grotta di Betlemme, e i Re Magi venuti dall’Oriente. Per tutti loro, il ruolo della Vergine è stato fondamentale per capire chi era quel Bambino così bello, intelligente e splendente, che sfolgorava davanti ai loro occhi come un sole nella notte profonda.

Ma c’era qualcosa in più. La visione di Gesù svegliava in primis negli animi sentimenti di ammirazione, riverenza e adorazione. Tuttavia, la sua luce purissima subito dopo i movimenti di tenerezza e riguardo, metteva in evidenza le mancanze e le miserie di coloro che Gli si avvicinavano. Il ruolo di Maria era di garantire che tutte quelle lacune sarebbero state colmate dal suo amore misericordioso di Madre affettuosissima. La manifestazione dell’aspetto più estremo della compassione di Gesù in quell’occasione brillava negli occhi di Maria, che rassicurava tutti e li faceva avvicinare a suo Figlio con fiducioso abbandono, rendendoli consapevoli che Lui sarebbe stato in grado di guarire tutte le loro infermità dell’anima e del corpo.

Chiediamo noi alla Santissima Vergine, mediatrice universale di tutte le grazie, che, in queste feste natalizie, lo splendore di Gesù illumini i nostri cuori e ci faccia vedere con chiarezza il nostro niente, la nostra miseria, i nostri peccati. E, al contempo, supplichiamoLa perché ci mostri, riflessa nel suo sguardo materno, l’infinita misericordia di Gesù, che vuole perdonarci, guarirci ed elevarci a un nuovo tenore di vita basato sulla speranza della vita eterna, quando saremo colmati per sempre della bontà di Dio.

Il Bambino Gesù – Nono giorno

L’innocenza, lo splendore e la bellezza di Gesù Bambino furono uno spettacolo divino che pochi fortunati ebbero il privilegio di contemplare. Per il resto dei cristiani, ad eccezione di coloro che hanno ricevuto grazie mistiche straordinarie, quell’evento resta un mistero luminoso ma velato. Infatti, supera ogni capacità immaginativa rappresentare nella fantasia o nelle opere d’arte il vero volto di Gesù appena nato, con tutte le grazie di un Dio fatto uomo.

Nei Salmi, tuttavia, troviamo certe espressioni ispirate che aprono il nostro spirito alla speranza di ritrovarci un giorno davanti al volto umano del Figlio di Dio:

Liete parole mi sgorgano dal cuore:

io proclamo al re il mio poema,

la mia lingua è come stilo di scriba veloce.

Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo,

sulle tue labbra è diffusa la grazia,

perciò Dio ti ha benedetto per sempre. (Sal 45, 2-3)

Tali espressioni poetiche sono veramente degne di essere cantate al suono di un’armoniosa melodia natalizia. Difficilmente si troveranno parole più adeguate a descrivere il fascino causato dal Bambino Gesù su chi a Lui si avvicinava con la fede almeno della misura di un grano di senape. La sua bellezza era composta da due estremi apparentemente opposti che in Lui si abbracciavano con casta amicizia: la tenerezza e la grandezza.

Essendo piccolo, fragile e innocente, Gesù era capace di suscitare i sentimenti materni più raffinati e intensi. La Vergine Maria si scioglieva davanti a Lui con fremiti di amore dei quali avremo una nozione più o meno precisa solamente nell’eternità. Ma, d’altra parte, il Bambino sfolgorava come un lampo. Nel suo corpicino si riflettevano già le grandi doti di un guerriero invincibile, di un Re maestoso. Lo stesso già citato salmo, nel seguito canta proprio questi aspetti:

O prode, cingiti al fianco la spada,

tua gloria e tuo vanto,

e avanza trionfante.

Cavalca per la causa della verità,

della mitezza e della giustizia.

La tua destra ti mostri prodigi. (Sal 45, 4-5)

La difesa della Verità, portata fino alla morte e alla risurrezione, fu la caratteristica del vero Messia, mite e umile di cuore, ma muro di bronzo contro gli avversari della giustizia. Così la destra di Gesù fece miracoli, accarezzò i bambini, ma non solo. Anche il suo braccio potente scacciò i mercanti dalla casa del Padre suo, minacciò i venti burrascosi e li calmò, fece risorgere i morti.

Davanti al tenero Gesù mostriamogli tutto il nostro affetto fatto di calore, di dolcezza e di compassione. E, al contempo, apriamo il nostro cuore alla sua infinita grandezza. Così impareremo ad essere uomini e donne di grandi e santi desideri, pieni di speranza e di forza per lottare, soffrire e resistere con la certezza che il nostro Re ha cinto la spada al suo fianco e avanza trionfante.

“Oportet illum regnare”, è necessario che Cristo Regni (1Cor 15, 25). Per tale motivo, i cattolici ai piedi del Presepe proclamano con audacia la loro disposizione di spendere le loro esistenze affinché ciò si possa avverare. E, per mezzo della Vergine Santissima, sperano di poter proclamare, una volta calmate le tempeste che sconvolgono la fede e la mettono a serio rischio: “Alla fine Gesù trionfa per il Cuore Immacolato di Maria!”.

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